Il booktrailer: la pubblicità necessaria

Ciao ragazzi

qualche post fa avevo parlato di temi relativi al marketing editoriale, riguardanti soprattutto i libri e la loro vendita, per mettere in chiaro come la promozione di prodotti culturali sia debole in Italia.

Per riallacciarmi a quel discorso, adesso vorrei dialogare su una delle tecniche pubblicitarie – a mio modo di vedere – più virtuose del momento: il booktrailer.

Il booktrailer è un’opera visiva a cavallo tra un trailer cinematografico e uno spot pubblicitario, che ha come scopo quello di fornire un assaggio importante su un libro in uscita. Si tratta di un’anticipazione, di un sunto di quello che i lettori troveranno nello sfogliare le pagine, dopo l’acquisto.

Essendo un’opera ibrida, naturalmente racchiude in sé le caratteristiche di entrambi i mezzi di comunicazione dalla quale nasce: c’è il pathos delle scene, che rappresentano brani e momenti decisivi del racconto, dietro al quale ogni trailer cerca di attrarre nelle sale tutti gli amanti del cinema – e adesso di attrarre in libreria; c’è la voglia di mostrare le qualità di un prodotto – sì letterario, ma pur sempre un prodotto – che, oltre a essere contenuto immateriale, è qualcosa di tangibile: da qui, come in ogni video pubblicitario che si rispetti, la presenza finale del libro, della copertina che ne mette in risalto il titolo – il packshot, ovvero la messa in mostra del prodotto, che è solo la punta dell’iceberg della strategia di avvicinamento.

Con le prossime righe non voglio essere ridondante, ma quello che deve essere detto è necessario che sia effettivamente detto.

Non si tratta di profanare l’aura mistico-artistica che alcuni critici letterari vogliono per forza attribuire al libro – mi interessa poco o nulla dare fiato a bocche che si autocompiacciono. Si tratta di portare la letteratura dentro le case, sui comodini, sui treni, negli uffici, nei parchi. E per farlo bisogna far riferimento a tutti i mezzi che la comunicazione moderna ci mette a disposizione: il booktrailer è uno di questi, e ben venga chi lo utilizzerà per diffondere la lettura.

Se in futuro esisteranno ancora detrattori di questa forma di promozione, vorrà dire che saranno malati tanto quanto il sistema che ci vuole bombardare con tv e reality show; in fondo, essere un critico letterario non ti esclude dall’essere un corrotto.

La gente non legge, e non voglio essere come quelli che dicono che, forse, la lettura non è per tutti. Non sono d’accordo. Tutto è per tutti.

Buon viaggio

L’arte della musica elettronica

Apparat

Apparat

Ciao a tutti

Al ritorno dalle vacanze ho deciso di deragliare un attimo, in maniera controllata ma necessaria, dal mondo della lettura e della scrittura, per buttarmi in quello della musica. La musica elettronica, in particolare.

Questo genere è il più ballato, credo, dalla maggior parte di quelli della mia generazione e quella dopo. Molti l’ascoltano, la praticano, la vivono per lavoro; altri la ballano perché la ballano gli altri; altri cercano di capirla. Io rientro in quest’ultimo gruppo.

Capirla non significa certo che è una musica aliena, proveniente da chissà quale altra dimensione – come potrebbe pensarla un anziano signore abituato a tutt’altra melodia in giovinezza. Capirla è, in un certo senso, darle un posto nel proprio bagaglio di esperienze musicali. Questo ho fatto io, e la mia infarinatura rock ’60-’70 non ha influito nella sperimentazione, se non in maniera positiva.

Prima, durante e dopo l’estate mi sono imbattuto in due artisti del genere, due produttori, che mi hanno veramente colpito: Apparat e Bonobo. Per il primo dei due devo ringraziare un mio compagno di università, Michael; mentre il secondo ha il nome di una scimmia e non ho potuto fare a meno di approfondire la cosa.

Qualcuno li conoscerà più a fondo di me; altri, anche amanti del genere, non sapranno nemmeno di chi stiamo parlando. Non voglio scatenare un dibattito su chi sia il migliore tra i due; né voglio mettere in risalto la loro bravura bei confronti degli altri producer (gli altri non li conosco). Quello che voglio dire è che la loro musica mi ha fatto scoprire suoni che mi hanno sorpreso.

La loro musica deriva dall’elettronica, ma arriva in maniera diversa. Qualcosa che è nuovo, ma che sembra familiare. Se Apparat sa scuotere con combinazioni sonore inaspettate, la musica di Bonobo sembra avvolgere chi l’ascolta, come se quel suono fosse già lì da prima, da prima del tasto play. E poi, cosa fenomenale, quando si ascoltano a basso volume, si rimane impressionati dalla loro capacità di amalgamarsi con il silenzio, non creando quel gradino netto tra suono e non suono.

Continuerò ad ascoltarli.

Se devo accostare la musica alla lettura, non posso negare che entrambe sono soggettive; quindi, se ascoltarli non vi piacerà, sarà stato come aver abbandonato un libro che molti altri hanno invece letto con entusiasmo. Nessuno se la prenderà per questo.

In un certo modo sono rientrato nei binari. Detto questo, i Doors son pur sempre i Doors.

Lacio Drom

La sottile linea rossa

La sottile linea rossa

Beh, aspettando che si cuociano le mie melanzane alla parmigiana, ho deciso di scrivere qualcosa sulla sottile linea che separa (bistrattando) la letteratura di genere da quella “alta”. Voi direte – a ragione – che è un argomento straparlato, stradiscusso e oggetto di dibattiti tra i più accesi. Nessuno può darvi torto, ma io voglio dire la mia.

Innanzitutto, cos’è la letteratura?

Nella mia personale concezione, la letteratura è quella cosa che permette a chi scrive di avere il potere di giudicare sulla vita e la morte dei propri personaggi. Io la vedo così: l’autore ha il potere.

Il lettore invece, sempre secondo la mia personale opinione, è colui che si butta nel vuoto, colui che va a fare il bagno mentre il mare è tempestato dalle onde, colui che prova un gelato non conoscendone il gusto. Il lettore affronta l’ignoto. Il lettore ha il coraggio.

Ora direte benissimo – chi vi può biasimare – che stiamo andando fuori tema, che tutta questa premessa non c’entra nulla con la questione di cui sto scrivendo. Forse è vero. Forse no.

Chi si accinge a scrivere, inventando, un romanzo, sia esso basato sulla storia di un serial killer, o di un commissario siciliano, o di un uomo che fa viaggi interstellari, ha il potere di scrivere il destino degli attori che compongono la scena letteraria. Lo stesso vale per chi scrive di persone malate, o di persone innamorate, o di persone con problemi sociali. Magari, tramite queste tipologie di storie, si cerca di dare sfogo, a tematiche sociali più importanti, ma anche in un thriller come Il talento di Mr Ripley, se ci si sforza, si riescono a scorgere i rapporti che intercorrono tra i ricchi e i meno ricchi. Ne Le Indie nere, romanzo di avventura di Verne, si fa riferimento al lavoro dei minatori; nei romanzi di King sono rappresentate le dinamiche adolescenziali. Quest’ultimi sono tutti romanzi che rientrano nella letteratura di genere, votati alle dinamiche del marketing e del consumo, da un certo punto di vista; mentre da un altro, sono quei romanzi che permettono a chi li compra di potersi identificare, di potere dire: “Questo libro fa per me, rientra nei miei gusti”. Ma, se leggete i libri di Conrad, Hemingway, Stevenson, nessuno potrà dirvi che non è letteratura “alta”, ma nonostante ciò in essi si trovano elementi e caratteristiche del romanzo di avventura, o storico. Le chiamano contaminazioni di genere. Per non parlare poi del modo di scrivere, perché non sono pochi gli scrittori di genere che scrivono in modo da far invidia ai premi Nobel per la letteratura.

Se proprio si vuole trovare una differenza tra questi due filoni narrativi –  io la vedo così – , essa sta nell’elaborazione della trama; c’è chi vuole raccontare intrattenendo in modo più accattivante e c’è chi vuole raccontare cercando di far riflettere. Ma entrambe le narrazioni sono frutto della realtà dello scrittore, del suo modo di vedere il mondo a lui circostante. Quindi in entrambi i casi si avrà da che pensare al riguardo. E quando si pensa, si hanno dei dubbi, ci si chiede perché, non lo si fa mai con aspirazioni di serie A o B.

Oltre a questo però, per riallacciarmi a quanto scritto sopra, sempre secondo la mia modesta opinione, non c’è una letteratura che si distingue dall’altra. In entrambi i casi chi la crea ha il potere. E in entrambi i casi, chi apre un libro piuttosto che un altro, ha il coraggio.

Buon viaggio

Quando la lettura diventa una missione

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Scrivere, leggere, parlare di libri; cose a cui penso tutti i giorni, in modo variabile. Vorrei che diventassero parte di una mia futura professione. Per questo ho scritto una tesi sul marketing editoriale; perché ho cercato di capire che cosa succede ai libri quando diventano libri.

Ogni tanto succede che io mi svegli e dica: “Ma cosa leggerò dopo aver finito Pirandello? Mi butto su un saggio? Jung, Nietzsche? Forse avrei dovuto completare quel capitolo prima di andare a dormire”. Pensieri di un malato patologico, e chi è malato come me – in tal senso – si chiede perché alcune persone non la vedono allo stesso modo, ovvero non leggono.

L’importanza di un libro, secondo la mia modesta opinione, sta, sì nei contenuti, ma anche nella sua capacità di raggiungere  il lettore; si può scrivere un capolavoro assoluto, ma se nessuno sa dov’è e come è fatto allora sarà destinato ai pochi. Vero è che nel concorso di colpa per la mancanza di lettori una parte fondamentale la giocano la cultura italiana del “non sapere” e del “non ne ho voglia”, ma bisogna potenziare la comunicazione connessa al libro.

Con la mia tesi sul marketing editoriale ho voluto scandagliare temi quali il marketing mix, che mi hanno fatto capire una cosa: il libro è a tutti gli effetti un prodotto, ma non ha promozione. Mah.

Perché devono bombardarci incessantemente con la pubblicità del deodorante per le ascelle e non con quella riguardante i libri, romanzi o saggi che siano? Io una mia personale risposta ce l’ho: fanno così perché ci vogliono così. Tentano di lobotomizzarci con sottoprodotti a scadenza prefissata, spingendoci per inerzia verso i supermercati.

Per questo ho voluto analizzare il mondo editoriale, perché voglio che utilizzi anch’esso la pubblicità come arma virtuosa per diffondere cultura, immaginazione e creatività. I modi per farlo ci sono – il web ne è la testimonianza -, ma quella che è necessaria è la consapevolezza che i potenziali lettori sono là fuori, bisogna solo volerli cercare.

Buon viaggio

Questo è il mio blog

Ciao a tutti!

Finalmente anch’io ho un blog, un’isola personale dove esprimere pensieri e condividerli con chiunque voglia ascoltarli.

Vorrei parlare di libri, di quello che ruota attorno al mondo dell’editoria, di cultura, ma non mi pongo limiti. Scriverò di tutto quello che riterrò interessante, che potrà permettermi di parlare con voi e di sentire le vostre opinioni.

Buon viaggio